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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Accolgo cordialmente tutti voi, operatori dei pellegrinaggi ai
santuari. Andare pellegrini ai santuari è una delle espressioni
più eloquenti della fede del popolo di Dio, e manifesta la
pietà di generazioni di persone, che con semplicità hanno
creduto e si sono affidate all’intercessione della Vergine
Maria e dei Santi. Questa religiosità popolare è una genuina
forma di evangelizzazione, che ha bisogno di essere sempre
promossa e valorizzata, senza minimizzare la sua importanza.
E’ curioso: il beato Paolo VI, nella Evangellii nuntiandi,
parla della religiosità popolare, ma dice che è meglio chiamarla
“pietà popolare”; e poi, l’Episcopato latinoamericano
nel Documento di Aparecida fa un passo in più e parla di
“spiritualità popolare”. Tutti e tre i concetti sono validi, ma
insieme. Nei santuari, infatti, la nostra gente vive la sua profonda
spiritualità, quella pietà che da secoli ha plasmato la
fede con devozioni semplici, ma molto significative. Pensiamo
a come si fa intensa, in alcuni di questi luoghi, la preghiera
a Cristo Crocifisso, o quella del Rosario, o la Via Crucis…
Sarebbe un errore ritenere che chi va in pellegrinaggio viva
una spiritualità non personale ma “di massa”. In realtà, il
pellegrino porta con sé la propria storia, la propria fede, luci
e ombre della propria vita. Ognuno porta nel cuore un desiderio
speciale e una preghiera particolare. Chi entra nel santuario
sente subito di trovarsi a casa sua, accolto, compreso,
e sostenuto. Mi piace molto la figura biblica di Anna, la madre
del profeta Samuele. Lei, nel tempio di Silo, col cuore
gonfio di tristezza pregava il Signore per avere un figlio. Il
sacerdote Eli invece pensava che fosse ubriaca e voleva cacciarla
fuori (cfr 1 Sam 1,12-14). Anna rappresenta bene tante
persone che si possono incontrare nei nostri santuari. Gli
occhi fissi sul Crocifisso o sull’immagine della Madonna, una
preghiera fatta con le lacrime agli occhi, colma di fiducia. Il
santuario è realmente uno spazio privilegiato per incontrare
il Signore e toccare con mano la sua misericordia. Confessare
in un santuario, è fare esperienza di toccare con mano la
misericordia di Dio.
È per questo che la parola-chiave che desidero sottolineare
oggi insieme con voi è accoglienza: accogliere i pellegrini.
Con l’accoglienza, per così dire, “ci giochiamo tutto”.
Un’accoglienza affettuosa, festosa, cordiale, e paziente. Ci
vuole anche pazienza! I Vangeli ci presentano Gesù sempre
accogliente verso coloro che si accostano a Lui, specialmente
i malati, i peccatori, gli emarginati. E ricordiamo quella sua
espressione: «Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me
accoglie colui che mi ha mandato» (Mt 10,40). Gesù ha parlato dell’accoglienza, ma soprattutto l’ha praticata. Quando
ci viene detto che i peccatori - ad esempio Matteo, o Zaccheo
- accoglievano Gesù nella loro casa e alla loro mensa, è
perché anzitutto essi si erano sentiti accolti da Gesù, e questo
aveva cambiato la loro vita. E’ interessante che il Libro
degli Atti degli Apostoli si conclude con la scena di san Paolo
che, qui a Roma, «accoglieva tutti quelli che venivano da
lui» (At 28,30). La sua casa, dove abitava come prigioniero,
era il luogo dove annunciava il Vangelo. L’accoglienza è davvero
determinante per l’evangelizzazione. A volte, basta
semplicemente una parola, un sorriso, per far sentire una
persona accolta e benvoluta.
Il pellegrino che arriva al santuario è spesso stanco, affamato,
assetato… E tante volte questa condizione fisica rispecchia
anche quella interiore. Perciò, questa persona ha bisogno
di essere accolta bene sia sul piano materiale sia su
quello spirituale. È importante che il pellegrino che varca la
soglia del santuario si senta trattato più che come un ospite,
come un familiare. Deve sentirsi a casa sua, atteso, amato e
guardato con occhi di misericordia. Chiunque sia, giovane o
anziano, ricco o povero, malato e tribolato oppure turista
curioso, possa trovare l’accoglienza dovuta, perché in ognuno
c’è un cuore che cerca Dio, a volte senza rendersene pienamente
conto. Facciamo in modo che ogni pellegrino abbia
la gioia di sentirsi finalmente compreso e amato. In questo
modo, tornando a casa proverà nostalgia per quanto ha sperimentato
e avrà il desiderio di ritornare, ma soprattutto
vorrà continuare il cammino di fede nella sua vita ordinaria.
Un’accoglienza del tutto particolare è quella che offrono i
ministri del perdono di Dio. Il santuario è la casa del perdono,
dove ognuno si incontra con la tenerezza del Padre che
ha misericordia di tutti, nessuno escluso. Chi si accosta al
confessionale lo fa perché è pentito, è pentito del proprio
peccato. Sente il bisogno di accostarsi lì. Percepisce chiaramente
che Dio non lo condanna, ma lo accoglie e lo abbraccia,
come il padre del figlio prodigo, per restituirgli la dignità
filiale (cfr Lc 15,20-24). I sacerdoti che svolgono un ministero
nei santuari devono avere il cuore impregnato di misericordia;
il loro atteggiamento dev’essere quello di un padre.
Cari fratelli e sorelle, viviamo con fede e con gioia questo
Giubileo: viviamolo come un unico grande pellegrinaggio.
Voi, in modo speciale, vivete il vostro servizio come
un’opera di misericordia corporale e spirituale. Vi assicuro
per questo la mia preghiera, per intercessione di Maria nostra
Madre. E voi, per favore, con la vostra preghiera, accompagnate
anche me nel mio pellegrinaggio.
Grazie. |
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